Science+Fiction 2011: Cineblog intervista George A. Romero, Premio Urania d’Argento alla Carriera

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    di Gabriele C.

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    Science+Fiction 2011: Cineblog intervista George A. Romero, Premio Urania d’Argento alla Carriera

    George A. Romero è esattamente come i suoi film: critico e lucido. Ma è anche disponibile, simpatico, e chiacchierare con lui dei suoi lavori e di cinema horror è, come si può prevedere, un piacere non da poco. Sorride se gli dico che per me l’idea dei fuochi d’artificio ne La terra dei morti viventi è commovente. Abbiamo incontrato il grande regista in occasione del Premio Urania d’Argento alla Carriera, che gli verrà consegnato questa sera alle 20.00 al Science+Fiction di Trieste. Dopo la round table a cui abbiamo partecipato (sempre qui su Cineblog), abbiamo scambiato due parole con Romero sul concetto di indipendenza e sull’horror americano: con risposte a volte sorprendenti…

    Nel mezzo del panorama americano, lei appare come una delle figure realmente più indipendenti. A tal proposito ha dichiarato sul suo profilo MySpace qualche anno fa riguardo a Diary of the Dead che è un film indipendente al 100% e che non ha mai avuto così tanta libertà dal 1968.
    Il fatto è semplicemente che sono stato capace di farlo con pochi soldi, con un budget di 2 milioni di dollari. E il fatto di essere riuscito a farlo con quei soldi mi ha dato la possibilità di lavorare da solo, in libertà. I produttori sono anche quelli di Survival of the Dead, e con questi due film per la prima volta ho davvero avuto la più totale libertà, sin dal mio esordio.

    È un film molto libero anche dal punto di vista formale e non solo, e credo ci sia qualcosa che lo accomuna a Redacted di Brian De Palma…
    Sì, credo ci siano sicuramente dei punti di contatto. Sicuramente per il fatto che sono due mockumentary, ma credo anch’io che non sia solo per quello…

    LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI

    Sono due film arrabbiati, girati da due persone che stanno fuori da Hollywood, anche se De Palma ha girato diversi film per le major.
    Sì, credo anch’io che le affinità nascano dal fatto che non sono due film hollywoodiani. Anche se non so cosa stia facendo De Palma in questo momento…

    Credo nulla, proprio a causa di Redacted. Tornando a Diary of the Dead, la sua definizione di prima suona quasi come un paradosso pensando che La notte dei morti viventi è citato dai libri di cinema come uno degli esempi di film davvero più indie di sempre: cosa è cambiato da quei tempi ad oggi nella sua carriera?
    Credo innanzitutto il fatto che in tutti questi anni ho imparato tanto, ho imparato il mestiere sempre un po’ di più. Non avrei mai potuto fare un film come Diary una decina di anni fa. Sarei stato più insicuro nel muovere la macchina da presa, ed è una cosa che si continua a perfezionare nel tempo. Non si hanno alla fin fine mai troppe informazioni su questo lavoro. Pensa, John Ford avrà diretto quasi 200 film, io ne ho diretti solo 17: è un processo di apprendimento continuo, e lo sarà così anche nel mio caso negli anni a seguire.

    Anche Survival of the Dead è un film personale e indipendente, ma il budget è quasi il doppio del precedente (4 milioni contro 2): come mai questa differenza tra i due progetti?
    Non era esattamente il doppio del budget, era poco più di 3 milioni. Non una grande differenza rispetto al precedente, ma ne avevamo bisogno. Partendo dal cast, tutto era più “grande” rispetto a Diary of the Dead, anche perché volevamo una confezione curata e un look hollywoodiano: avevamo bisogno di certe luci, di certi attori, e per questo c’è stato quell’aumento.

    Intende girare un altro spin-off di Diary of the Dead?
    Era la mia intenzione iniziale. Quando ho girato Survival avevo in mente tre film, dicendo tutto quello che avevo da dire sugli zombie. Volevo fare tre film con tre stili differenti, così sarebbe stato anche più divertente per tutti: avevo in mente di ambientarne uno in mezzo alla guerra, oppure un film d’avventura nella giungla. Purtroppo Survival non ha guadagnato denaro sufficiente da giustificare l’operazione: nessuno se l’è sentita di imbarcarsi in queste produzioni.

    L’anteprima mondiale di Survival of the Dead a Venezia e soprattutto in concorso è un evento che gli appassionati ricorderanno a vita: cosa significa per lei il fatto che oggi un suo film horror indipendente finisca in una delle maggiori competizioni internazionali del mondo?
    Non so se se lo meritava [ride]. Ho una grande sostenitrice, Giulia D’Agnolo Vallan, che ha sempre sostenuto i miei lavori, e penso sia stata lei a convincere Marco Müller a prendere il mio film in concorso. Non so se altre persone del festival condividevano l’idea. Credo comunque sia davvero il primo film horror che finisce in concorso in un festival come Venezia, almeno da Dr. Jekyll and Mr. Hyde.

    Guarda gli horror americani indipendenti di oggi? Cosa ne pensa del torture porn, dello Splat Pack, dei registi che ne fanno parte?
    Non ho visto tanti bei lavori. Non mi hanno mai colpito. Mi piace Lucky McKee, che ha fatto May e The Woman. Mi piace Del Toro: ma non è americano, e forse mi piace per quello [ride].

    Non le piace neanche Rob Zombie?
    No, davvero no, anche se non vorrei parlarne troppo. Credo basti il fatto di dire che non ho visto molte cose che mi siano davvero piaciute. Insomma, Halloween… Vedi? Remake, è tutto un remake!

    Sicuramente siamo in un’epoca in cui l’horror omaggia e cita molto i cult del passato. Forse l’horror americano indipendente ha perso un po’ quella carica politica e quella rabbia che lo ha contraddistinto?
    Sicuramente. I registi indipendenti non percorrono più direttamente questa strada, ma io credo che dovrebbero. L’horror è una possibilità che non sfruttano fino in fondo, perché il genere è un modo semplice di fare critica. Invece questi giovani cercano innanzitutto il gore, l’effetto, ed è quello a cui sono interessati soprattutto i produttori. Non succede molto di più. I produttori non se la sentono di provare a fare qualcosa di nuovo: vogliono fare semplicemente di nuovo, che ne so, Halloween 5.

    Il premio alla carriera al Science+Fiction glielo consegnerà l’amico Dario Argento. A tal proposito, che dice dei rumor che ci sono stati su un suo remake di Profondo Rosso?
    Non è solo un rumor. Claudio Argento mi aveva chiamato per chiedermi se volevo farlo. Ma quando ho sentito Dario e ho scoperto che lui non era coinvolto nel progetto, e visto che è un mio caro amico, ho deciso di non farne parte neanch’io.

    Ringrazio Daniele Braida per la fotografia in apertura, Cristina Borsatti per l’intervista e ovviamente George A. Romero per la disponibilità.

    di Gabriele C.

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    Science+Fiction 2011: round table con George A. Romero -

    Dopo l’intervista singola di Cineblog al papà dei morti viventi, ecco che vi riportiamo anche l’incontro avuto dalla stampa assieme a George A. Romero, premio alla carriera al Science+Fiction 2011 di Trieste. Un botta e risposta tra giornalisti e regista per parlare della sua carriera, da La notte dei morti viventi fino al suo prossimo progetto: un altro film di zombie o una ghost story…

    Come mai ama tanto Martin? E cosa ne pensa di questa rinascita del filone vampiresco al cinema?
    Di Martin mi piace il fatto che sono riuscito a girare tutte le scene che volevo, e mi piace perché è, tra i miei film, quello che più si avvicina all’idea che avevo in mente prima di girarlo. Quando fai un film hai in testa un sacco di cose che non riesci mai a mettere dentro completamente. Non è facile rispondere alla domanda “qual è il tuo film preferito?”, perché non riguarda tanto il film in sé, quanto il processo di creazione, il rapporto con gli attori, la troupe, che in quel caso era davvero ridotta: solo 10 persone. Per quel che riguarda la seconda domanda, non sono proprio un fan di quello che sta capitando ora: è gente troppo giovane per interpretare dei vampiri…

    La notte dei morti viventi arriva in un momento in cui si sta realizzando una rivoluzione soprattutto culturale. Gli zombie, così come noi li conosciamo, sono sue creature. Oggi hanno quasi preso il monopolio dell’horror, anche in tv: è forse una nuova rivoluzione, con caratteristiche simili a quella del ‘68?
    Non credo sia la stessa cosa. I miei zombie erano stupidi, oggi sono diversi: gli zombie sono a Wall Street!

    La round table continua dopo il salto.

    Science+Fiction 2011: round table con George A. Romero - Science+Fiction 2011: round table con George A. Romero -

    Dal momento in cui i suoi film rispecchiano la società, in questo momento viviamo in un momento molto particolare, di crisi globale: oggi, per denunciare la situazione o dare una “soluzione”, avrebbe una nuova idea per tutto ciò?
    Sicuramente non con i miei zombie, ci vorrebbe un diverso tipo di film. I miei zombie non “si interessano” alla crisi, quindi non saprei come affrontare questo problema in questo modo. Piuttosto ho un’idea sul problema dei confini: gli zombie messicani!

    Quindi la differenza dei zombie di allora e quelli di adesso è che oggi sono più intelligenti o c’è dell’altro?
    Non ho mai pensato agli zombie come creature intelligenti, piuttosto ricordano solo dei comportamenti umani. Per questo i miei film sono concentrati soprattutto sull’essere umano, mentre gli zombie sono piuttosto delle “zanzare” in mezzo ad uno scenario più vasto. Gli zombie di oggi sono quelli di The Walking Dead, e ci sono sicuramente delle similitudini tra la serie e i miei film, e credo che una di queste sia che ci si concentra sempre e comunque sull’uomo.

    Perché ha rifiutato di dirigere qualche episodio di The Walking Dead?
    Non volevo utilizzare la sceneggiatura di altre persone. Voglio i miei zombie. Mi stupisce però il successo che sta ottenendo la serie in America, è meraviglioso: si tratta pur sempre di un prodotto molto crudo, e una volta l’avrebbero sicuramente censurato.

    La cosa curiosa è che gli zombie moderni come quelli di Boyle sono velocissimi. Perché corrono? Sono credibili?
    A me gli zombie piacciono lenti: sono morti! Se corrono vuol dire che non sono morti, ma hanno un virus. Credo che sia un po’ colpa dei videogame, a cui si deve sicuramente la popolarità odierna di queste creature. Non c’è mai stato un film sugli zombie che ha fatto faville al botteghino, a parte Zombieland. I videogiochi in questo senso hanno influenzato molto di più l’immaginario popolare sugli zombie, e i videogiochi richiedono ovviamente che siano veloci…

    Ha un videogioco sugli zombie che preferisce?
    Io non gioco, però sono in un videogame come personaggio, in Call of the Dead!

    Parlando di tecnologia, cosa pensa degli effetti digitali?
    Negli ultimi tre film ho dovuto utilizzarli per forza. All’epoca c’abbiamo messo 86 giorni per girare Zombi, e Tom Savini ha avuto tutto il tempo necessario per le sue creazioni. Oggi fare trucchi manuali richiede troppo tempo e costa troppo, e io ho solo 20 giorni ormai per girare un film. Non è sicuramente meglio, perché a me affascina la parte più tattile e quindi realistica dell’elemento artigianale.

    Ha prima citato Zombieland, e ci sono altre “commedie nere” in cui gli zombie sono comici: lei pensava ad una cosa del genere anni e anni fa?
    Non l’ho mai previsto. Ma nel mio ultimo film ci sono alcune scene divertenti: mi piace lo humour. Da piccolo leggevo molti fumetti e mi piacevano gli horror più divertenti e ironici. Non a caso ho diretto Creepshow, che ha una voce narrante che dice battute e in cui ci sono molti effetti grotteschi. Credo poi che gli zombie siano elementi comici per natura, e si prestano ad essere colpiti: in un certo senso va bene che gli si faccia del male!

    Lei si è sempre definito un cineasta indipendente: quanti sacrifici ha dovuto fare durante la sua carriera per preservare la sua indipendenza?
    Non credo si tratti di sacrifici, piuttosto di scelte. Non sono mai stato un “giocatore” della scena di Hollywood. Sono stato fortunato ad avere ottimi collaboratori con cui ho ottimi rapporti. Dal profondo del mio cuore posso dire che mi piacerebbe provare a fare altri film, tipo un film d’avventura, ma sono comunque molto contento di poter semplicemente continuare a fare film.

    Cosa pensa del fatto che viene considerato un regista cult? Cosa significa per lei?
    Non saprei. Forse che poche persone guardano i miei film! [ride]

    Lei ha detto che tra i suoi punti di riferimento c’è Michael Powell: cosa la colpisce di questo regista?
    Il mio film preferito, anche se può sorprendere, è I racconti di Hoffmann. Avevo 12 anni quando arrivò negli Stati Uniti, e quando l’ho visto l’ho amato subito. Gli elementi fantastici erano straordinari, mi ha insegnato tanto. Era a basso budget e gli effetti speciali si potevano vedere ad occhio nudo, e questo mi ha dato a suo modo speranza di poterlo fare anch’io a casa: mi ha spinto ad andare avanti nella mia carriera cinematografica. Se avessi visto Jurassic Park non avrei capito sicuramente come avevano fatto i dinosauri. Ho anche un aneddoto su questo film: in ogni grande città all’epoca c’era un solo posto per noleggiare film, anche a New York. Io ero l’unico ragazzino che continuava a noleggiare I racconti di Hoffmann, finché un giorno il commesso mi disse che un altro ragazzino l’aveva appena noleggiato: era Scorsese.

    A proposito di The Zombie Autopsies, il libro di Schlozman, lei ha detto che riesce a rendere l’idea che gli zombie esistano davvero, mentre lei che ha fatto film sugli zombie per 40′anni non ce l’ha mai fatta: è vero che sarà il suo prossimo film?
    In realtà ancora non lo so per certo, anche se sto lavorando sulla sceneggiatura con Schlozman, lo psichiatra che ha scritto il libro. La premessa è che gli zombie sono stati creati apposta. Solo che poi l’infezione va fuori controllo. È una storia molto cruda, accurata dal punto di vista medico [ride]. Un’altra storia a cui sto lavorando è Before I Wake, da una vecchia sceneggiatura che scrissi per la MGM e di cui ho riacquisito recentemente i diritti: si tratta di una ghost story. E poi mi sto dedicando a scrivere fumetti per la Marvel, e ci saranno anche gli zombie.

    Ma saranno supereroi contro zombie?
    Non necessariamente, non è la strada che davvero voglio prendere. Ma si vedrà…

    I suoi film sono sicuramente film politici. Parlando quindi di politica, cosa pensa della situazione attuale in Italia?
    In realtà negli Stati Uniti non riceviamo molte notizie veritiere. Ci occupiamo solo di scandali, di George Clooney che si giustifica di non essere stato ad una festa in particolare, cose del genere. Mi pare di capire che però la lamentela più grande degli italiani sia quella per il Presidente del consiglio che controlla i mezzi di informazione…

    Ha mai pensato ad una versione musical de La notte dei morti viventi, magari per Broadway?
    Qualcuno c’ha provato! Io però non c’entro nulla con questi tentativi, anche se ho ricevuto qualche copione a riguardo. In realtà io ho perso un po’ l’entusiasmo per questo film, in quanto ne ho perso i diritti: è un film di pubblico dominio.

    Pensa che l’horror come strumento di denuncia e analisi dei nostri tempi sia ancora efficace oggi?
    Credo proprio di sì. Non so però dove l’horror stia andando, e neanche dove possa arrivare. [Si ferma] Paranormal Activity… [ride]

    Ringrazio Daniele Braida per le fotografie e lo staff del Science+Fiction per la disponibilità.
     
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